domenica 18 marzo 2012

La ragazza che ballava solo il rock

La Ragazza Che Ballava Solo il Rock 
                                                           


                

Elena si sveglia ogni mattina alle sette e venticinque e come prima cosa si infila gli auricolari del suo lettore mp3 color fucsia. Si veste ascoltando surf rock, garage, rock psichedelico, indie, post rock. Quando scende a far colazione spesso sua madre la guarda senza dire niente, a volte le urla qualcosa che si perde tra la musica e il pianto di suo fratello. Suo fratello ha 5 anni, piange quasi sempre. Suo padre non c'è mai e quando c'è si siede in poltrona e fissa un punto del muro, sempre lo stesso. Una volta l'ha anche visto piangere, ma in silenzio, le lacrime  gli scendevano sulle guance e poi sul mento e lui le lasciava scendere senza asciugarle. Elena ogni mattina beve il suo caffellatte e quando sua madre non vede o ha finito di urlare, fa scivolare la sua fetta di pane con la marmellata sotto il tavolino e la mette in una busta di plastica. Uscendo getta tutto nel contenitore dei rifiuti vetrosi. Quando arriva a scuola si siede al suo posto all'ultimo banco, accanto a quello di Piero, che la saluta ogni volta con un cenno del capo. Piero è arrivato secondo nella classifica dei più sfigati della IV D. Una specie di sondaggio realizzato su un lercio foglio a quadretti che passava di banco in banco. Ogni ragazza poteva dare un massimo di tre voti ai ragazzi che giudicava più sfigati. Elena non ha votato. A lei  Piero è simpatico: parla poco, non la guarda mai fisso e le passa i compiti di matematica e di fisica. E le poche volte che Elena ha fame, divide con lei il suo panino al salame o la sua pizza alle patate. Questa mattina Piero è insolitamente loquace. Mentre la professoressa di Italiano sta spiegando il movimento letterario della Scapigliatura, lui si allunga verso di lei e le fa vedere qualcosa sotto al banco. Poi le dice “È per stasera.”
Cosa è per stasera Elena lo capisce solo alla fine della prima ora: un concerto. Suonano i “No Man's land” all'Island.
“Non male” è l'unico commento di Elena.
“Ti passo a prendere alle dieci?”
Elena fa cenno di sì col capo, guarda la professoressa che continua  a parlare con il libro di testo aperto davanti a sé, e con un movimento ormai acquisito, china un poco la testa e si infila  gli auricolari nelle orecchie.


Sono le dieci e dieci, sua madre ha appena finito di rovesciare la vaschetta con il riso cantonese nella pattumiera. Solo lei e suo fratello ne hanno mangiato qualche cucchiaio. Elena odia tutto quanto è cinese. Mangerà un hot dog al chioschetto davanti al locale. Un hot dog con una montagna di senape. Quando sente il suono del messaggio in arrivo, nemmeno tira fuori il cellulare dai jeans per leggerlo, ma alza un braccio e dice “Io esco.”
“Dove cazzo vai a quest'ora” le grida la madre, ma la porta si chiude e Elena è libera di sentire l'aria fredda che le accarezza il viso e le ghiaccia le mani. 
“Non ho un altro casco” le dice Piero da sopra il suo scooter nero.
Elena alza le spalle, si arrampica sul sellino, si sistema sulla punta e dice “Andiamo?”
Luci lattiginose che appaiono e svaniscono, rumori di auto che  sorpassano, aria fredda che si insinua dappertutto. Dieci minuti dopo sono davanti all'Island; una ventina di ragazzi sta facendo la fila per entrare. Le luci al neon dell'insegna luminosa li pittura parzialmente di un colore azzurro morente. Elena attraversa la strada e raggiunge il chioschetto delle birre e dei panini.
“Con tanta senape” dice al vecchio pachistano che le sta preparando l'hot dog. Piero finisce di incatenare la scocca dello scooter al palo del cartello e la raggiunge.
“Vuoi?” le fa Elena porgendogli il panino.
Piero le fa cenno di no e si mette a guardare le bottiglie di birra che sono esposte nella vetrina del chioschetto. Ha le mani in tasca e sente freddo. Sente anche una strana felicità piena di orgoglio che lo invade completamente.



È quasi mezzanotte, il dj sta sfumando l'ultimo pezzo e il gruppo è già da dieci minuti che si muove sul palco. Il front man si avvicina al microfono, si toglie la giacca in pelle che lancia verso il batterista. Picchietta il microfono per qualche secondo, poi dice con voce profonda “Benvenuti” e poi “noi siamo i No Man's Land.” Appena il batterista inizia a picchiare le bacchette sulla batteria e le note pulite del basso e i riff distorti della chitarra accompagnano le prime parole in inglese, Elena inizia a pestare con i piedi e a muoversi ondeggiando. Si fa largo tra la gente che assiste al concerto e raggiunge il palco. Da sotto il palco inizia a seguire il ritmo selvaggio che le nasce dentro e che è così sorprendentemente simile a quello che sente in questo momento. Oscilla le braccia, si muove lateralmente e i suoi occhi riflettono scintille. Sente la musica dai pori della pelle, si lascia avvolgere. Anticipa i cambiamenti di ritmo come conoscesse da sempre quella musica. I suoi scarponcini affondano nel pavimento, i suoi movimenti sono feroci e sensuali. Con le spalle piegate che improvvisamente si raddrizzano. Con le ginocchia che si piegano e assecondano il bacino. Balla furibonda. Balla armoniosa. Balla come nessuno balla. Piero la guarda da un angolo; si sente leggero e un poco timoroso. Altri maschi la guardano ammirati e complici. Anche il cantante sul palco la guarda e ora sembra che si chini verso di lei e canti solo per lei.
Secondi lunghi come minuti, poi un’ora, poi è già tempo del primo bis. Il secondo bis è una cover degli Smiths, dolce e stralunata. E la voce del cantante che ringrazia. Il concerto finisce all'improvviso e una melodia incongrua lo rimpiazza banalmente.
Elena sente di nuovo battere il suo cuore mentre con la manica della sua camicia si asciuga il sudore dal volto. Vede quel ragazzo che le si avvicina e pensa che tra poco le rivolgerà la parola.
“Balli bene.” le dice.
“Conosci il gruppo?” le chiede guardandola negli occhi.
“Sembrava che il cantante ti guardasse...”
“Ti va di bere qualcosa ?”


Piero si avvicina all'uscita perché non sa dove andare. La pista ora è piena di gente che parla e fuma e beve, muovendosi stancamente al ritmo di un cupo blues. Ha salutato un paio di compagni di scuola che rivedrà domattina. Si è attardato a vedere qualche maglietta su cui sono stampati i nomi di gruppi troppo famosi e ha comperato una spilletta che non gli piace e che non metterà mai. Ogni tanto getta uno sguardo veloce verso il bar dove c'è Elena e quel tipo coi capelli lunghi e i jeans tagliati. Avrà almeno vent'anni, magari ventidue, e una Golf che lo aspetta al parcheggio. Forse se ne dovrebbe andare. Forse tra un po' se ne andrà. Prima che Elena gli passi vicino e uscendo gli dica “Ci vediamo domani .”  Con il tipo che lo guarda distrattamente e distrattamente sfiora la spalla di Elena. Non sa cosa fare, così tira fuori il cellulare e guarda l'ora. Manda un messaggio a un suo amico anche se sa che lo leggerà solo domattina. Si avvicina al palco e fa finta di osservare il basso poggiato a terra. Si mette a guardare due ragazzi ubriachi che si spintonano allegramente. E' quasi pronto ad andare ora, quando sente qualcuno che lo tocca a un braccio. Si gira e si trova davanti Elena. Ha i capelli un poco spettinati e la fronte aggrottata. Gli dice qualcosa che lui non capisce.
“Cosa?”
“Ti va di tornare?” e poi “Ti scoccia se prima mi fermo un attimo al chioschetto? Ho di nuovo fame.” e “Sai quel sondaggio scemo che hanno fatto in classe? Io non ho votato.”   






(Photo  By  Evas  Welt)