venerdì 22 dicembre 2017

Release Blitz 2: Io sono l'usignolo di Emanuela Navone

Come preannunciato, in vista dell'uscita de "Io sono l'usignolo", un thriller italiano con un'ambientazione molto particolare e riuscita, ecco un corposo estratto del primo capitolo del libro di Emanuela Navone. Lo trovate sotto la copertina. 
Ma prima di immergerci nella lettura, conosciamo meglio l'autrice:




Emanuela è nata a Genova e vive in un paesino sperduto sui monti proprio sul confine con il Piemonte.
Scrive da quando era una bambina, e da allora ne è passata di acqua sotto i ponti. È cresciuta a pane e Stephen King, e gran parte della sua esistenza l’ha trascorsa leggendo i suoi horror e i fantasy della Bradley, Tolkien, Goodkind e autori meno famosi.
Nel 2014 ha finalmente ottenuto la laurea dopo anni di lacrime e sangue e si è trovata nel mondo reale e ha scoperto che era pieno di denti aguzzi. È diventata assistente editor per Edicolors, una casa editrice specializzata in narrativa per l’infanzia; poi, cedendo allo smisurato ego che la divora, ha deciso di diventare freelance.





 

Vive in una grande casa circondata da gatti — prima o poi diventerà come la gattara dei Simpson. Oltre alla scrittura, adora la musica metal e la fotografia. La trovate spesso in giro per i boschi con la sua fedele reflex e la testa sulle nuvole.
Ha pubblicato, sempre come self, il breve Prontuario di editing e il racconto Reach, contenuto anche nella raccolta a scopo benefico Only Hope.

 
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ESTRATTO: PRIMO CAPITOLO

Lunedì 21 agosto 2000

Il trasloco a Val Salice iniziò sotto i peggiori auspici.
Primo punto: appena partiti dovemmo tornare indietro perché Rossana aveva dimenticato il valigiotto con creme, detergenti e qualsiasi orpello con cui donne come mia moglie si divertivano in bagno.
Secondo punto: partiti per la seconda volta, dovemmo di nuovo tornare indietro perché Stella non trovava Lalla e se non aveva la sua bambola di pezza rischiava di patire l’autostrada.
Terzo punto: Oscar, il gattone rosso e pigro, decise che non amava più la gabbietta e dovemmo farlo uscire, con la conseguenza che passò il viaggio disteso sulle cosce di Rossana, emettendo di tanto in tanto un miagolio di vero dolore.
Morale: arrivammo a Val Salice due ore dopo il previsto, sotto un temporale di quelli che ti annegano appena metti un’unghia fuori, Rossana e Stella nervose e io più sudato di quando, al mare, mi ostinavo a non prendere sdraio e ombrellone perché non mi andava di sborsare ventimila lire.
Ciliegina sulla torta, appena scendemmo dalla BMW, infagottati sotto giacchette leggere prese alla spicciolata in una valigia, Stella iniziò a starnutire.
Di per sé, qualche starnuto non è grave, ma essere sposati con Rossana De Simone equivaleva a una delle Grandi Tragedie.
Le hai portate le medicine? No che non le hai portate, vero? E adesso come facciamo diavolo adesso le verrà la febbre e non hai portato le medicine e se si sente male bisogna chiamare l’ambulanza andare al pronto soccorso che poi l’ultima volta siamo stati lì ore.
Neanche il tempo di scaricare i bagagli che dovetti fiondarmi in auto e cercare una farmacia in quel paesino sperduto tra i monti liguri.
Così iniziò la mia nuova vita lontano dalla città. E mentirei se dicessi che ero elettrizzato.


Il campanello suonò mentre la porta si apriva. Mi sfregai le mani l’una contro l’altra, intirizzito nel giubbotto leggero. Le scarpe di tela filtravano l’aria come ciabatte da mare. Feci due passi. File di scaffali di legno ospitavano un melting-pot di medicinali, mentre dietro il bancone, una vecchia credenza conteneva piccole brocche forse dipinte a mano. In un angolo, una vecchia bilancia si incastrava tra due depliant che promettevano la migliore soluzione alla tosse secca e spiegavano perché fosse nocivo fumare in gravidanza.
La farmacia di Ca’ Tonda, paesino minuscolo vicino a Val Salice, era un pot-pourri di scatoline colorate. Se avessi avuto dietro la mia reflex, mi sarebbe piaciuto catturare qualche sfumatura, un verde smeraldo, un rosso mattone o un bianco panna.
La donna dietro il bancone batteva sui tasti del registratore di cassa e parlottava tra sé. Al suono del campanello, alzò lo sguardo. «Buonasera» cinguettò.
«Buonasera.» Mi avvicinai con le mani in tasca.
«Freddino, vero?»
«Già.»
La donna diede una rapida occhiata al registratore di cassa. Il pollice e l’indice grattavano pigramente il mento. «Oggi il buon Charlie non ne vuole sapere di funzionare.»
Dovevo avere un’espressione stupita perché la donna scoppiò a ridere.
«Charlie è il nome che ho dato al registratore» spiegò.
«Ah.»
«Che cosa desidera?»
«Del paracetamolo. Mia figlia ha un forte raffreddore e mia moglie teme le venga la febbre.»
La farmacista annuì e uscì dal bancone. Una piccola botte in camice bianco. «In questo periodo è facile ammalarsi» disse mentre rovistava in uno scaffale. «Turisti?»
«Ci siamo trasferiti oggi a Val Salice.» Assunsi una delle mie migliori espressioni scocciate per troncare il dialogo. Non avevo di certo tempo da perdere in inutili chiacchiere.
La farmacista terminò la ricerca su uno scaffale e passò all’altro. «Un posticino accogliente, vero?»
Tentativo fallito.
«Sa che è stato quasi raso al suolo da un incendio?»
In meno di un secondo, la mia espressione scocciata diventò incuriosita. «Non lo sapevo.» Fissai la donna con vivo interesse.
La farmacista pescò una confezione di paracetamolo nascosta tra un flacone di sciroppo per la tosse e un detergente intimo. Caracollò verso il bancone e vi posò la medicina. «Successe vent’anni fa.» Scosse la testa. «Una vera tragedia.»
Posai una banconota da ventimila lire accanto al registratore di cassa. Lo sguardo della farmacista sembrava afflitto, ma dietro si scorgeva qualcosa, una specie di forte desiderio, un’aspettativa.
dai chiedimi cosa successe ti prego
Stetti al gioco.
«Che cosa successe?»
La donna parve gonfiarsi come un palloncino. Si allungò verso di me e mise una mano sulla bocca. «L’incendio distrusse la casa del sindaco e si propagò per metà del paese. Montignani, sua moglie e suo figlio non ce la fecero.» Tamburellò le dita sul bancone. «Aveva appena vent’anni, quel povero ragazzo. Morire così... Che destino ingiusto.»
Presi il flacone di paracetamolo. «È stato un incidente?»
I grandi occhi da lontra della farmacista mi guardavano fissi. «Certo che no. Florian Chevalier. L’usignolo.» Si diede un colpetto sulla tempia. «Un pazzo.» Armeggiò ancora qualche istante con il registratore. «Non è serata, vero, Charlie?»
«Usignolo?» Mi stava prendendo in giro?
«Così si faceva chiamare. Non so il motivo.» Risatina civettuola.
«Perché lo ha fatto?» Misi la medicina nella tasca dei jeans.
La donna fece spallucce. «Lo chieda agli abitanti di Val Salice.» Riprese ad armeggiare con il registratore di cassa. «Le scoccia se non batto lo scontrino?»
Feci un saluto smozzicato. Non mi scocciava. Uscii.
Oh, se lo avrei chiesto. Lo avrei chiesto di certo.
Quella palla con il camice addosso non sapeva che le tragedie erano il mio pane quotidiano.
Rubino Traverso, giornalista e fotoreporter: questa è roba per te.









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